Si fa presto a dire Daniela

O meglio, si fa presto a dire Danys Fashion

si fa presto a dire Danys Fashion

Si fa presto a dire le cose. Ma quanto costa farle?
Daniela, Danys Fashion. Danys Fashion, Daniela.
Dietro queste “D”, sapete, ce ne sono molte altre. E sono quelle che mi hanno portato fin qua.
D come Daniela, D come donna, ma anche D come diva, e ancora, D come due (tutto si fa in compagnia di se stessi e nulla si fa da soli. E questa è anche la storia di Osniel.)
E D come “dicono”. Dicono di me. Ma che cosa dicono? E che cosa sanno?

La mia storia comincia un pomeriggio. Ero una bambina. Con mia mamma e mia nonna ero andata dal parrucchiere. Mi ricordo le mani. Le mani di quelle persone che mescolavano colori scintillanti nella ciotola e creavano cose belle. Cose magiche.
Mi incuriosì il lavoro dei parrucchieri. Mi affascinò come una fiaba. Quel giorno decisi che lo avrei fatto anch’io.

Una mattina tornai a casa con i capelli molto corti e di punto in bianco comunicai ai miei genitori che non volevo più andare a scuola ma che volevo lavorare. Fu una scelta improvvisa eppure studiata, ragionata. Credo di averci pensato senza rendermene conto per anni custodendomi la mia fiaba in segreto, coccolandola, accarezzandola in silenzio.
In silenzio mi sono costruita la mia storia.

Cominciai nella mia stanza a fare esperimenti sulle bambole. E quelli che venivano meglio poi li facevo su di me. Mi tagliavo i capelli. Avevo i capelli ribelli e di continuo mi spuntavo con le forbici i ciuffi che fuoriuscivano dalla chioma.
Amavo i capelli lunghi. All’epoca i genitori non erano soliti portare i bambini a tagliare i capelli ogni settimana. Dei miei capelli si occupava mia madre e me li faceva sempre cortissimi. Li odiavo. Mia madre mi diceva “quando saprai farteli da sola, li avrai come desideri”. Sono cresciuta con l’obbligo di imparare a fare tutto da sola. Per farlo proprio come lo desideravo.
A dire il vero i miei genitori credevano che non fossi adatta molto a questo lavoro. Dicevano che non ero un’adolescente molto paziente o gentile o affabile. In realtà ero soltanto un’adolescente. Forse non riuscivo a farmi capire? Forse non riuscivo a farmi ascoltare?
È per questo che oggi, da madre, ascolto i miei figli con un orecchio nervoso, sempre sull’attenti. Ed è per loro, per rispettare (da adulta) la loro adolescenza, e perchè abbiano la certezza di essere sempre ascoltati con attenzione, che ho deciso di investire in un magazine di un’associazione contro la violenza di genere e bullismo scolastico: Fuori la Voce.
Ma di questo parleremo più avanti.

Avevo deciso di voler lavorare e mi misi d’impegno.
Cominciai la scuola serale e la frequentai per cinque anni, mi diplomai, continuai a studiare per altri due anni e diventai maestro d’arte. E dopo un pò cominciai a far parte del direttivo. Fui premiata per le mie idee creative.
Nel 1993, con enorme orgoglio, vinsi la Coppa Italia.

Mi affezionai a Vanna Lippi, una vera professionista che sapeva spiegarci come affrontare le gare, come raggiungere le coppe utili a percepire il diploma. Rimasi affascinata da lei. Era una donna dalla grande tecnica ma con un’affabilità incredibile. Era impossibile non capire le sue parole. Parlava sussurrando emozioni e così dava lezioni.
Per le gare ognuna di noi doveva preparare delle testine. E creare un look da giorno, uno da sera e uno da cocktail seguendo un tema ben preciso.
Le gare mi entusiasmavano. Mettevano alla prova la tecnica, le idee, i concetti che volevo sviluppare.

Dicono di me che sono una creativa, che ero una ribelle. Io dico che sono una donna che ha fantasia.
La mia prima testina presentata su un palco nazionale aveva sfumature rosa pastello e sfaccettature vinaccia. Adesso è prassi. Allora fu una rivoluzione di stile, di concetto, di cultura.
Mi sono sempre piaciute le sfide. Quando credo in una cosa la porto avanti con tutte le mie forze.
La mia creatività piacque. Così ho iniziato a distinguermi e ad emergere. Uscii sui giornali. Non ero più Daniela. Ormai ero Daniela Sala.

Sono una donna ma sono anche un’imprenditrice.

A vent’anni ho cominciato a fare corsi manageriali all’interno di numerose aziende per capire come crescere e migliorarmi. Era un’ossessione. Volevo essere di più. Fare di più. Dire di più. Volevo divorare il mondo. Volevo essere una diva.
Mi fu proposto di lavorare in un’azienda importante e intanto continuai a formarmi sulla cura del capello.
Ho cambiato molte cose nella mia via. È stata una trasformazione continua. Una sfida continua con me stessa. E ogni cambiamento l’ho portato dalla mia parte, l’ho fatto mio del tutto, l’ho reso utile per il mio lavoro.
A ventuno anni ho aperto il mio primo negozio. Al terzo piano, in pieno centro storico.
Nel frattempo continuavo a fare gare. Gare su gare. Sfide su sfide. E quando il palco è diventato internazionale e gli impegni hanno cominciato a stritolarmi ho deciso di rallentare, di concentrarmi. Di creare quello che è passato alla storia come Danys Fashion.

La Danyscromia non è nata oggi.

È nata a Milano vent’anni fa. Quando mi proposero di formarmi in un modo inedito sul colore insieme ai tecnici di Milano, esperti di innovazioni e avanguardie, accettai di slancio.
Il percorso fu lungo e duro, ma dopo qualche anno diventai anch’io una tecnica del colore.

Nel ’98 aprii il mio secondo salone.

Fu un investimento. Anche qui, un salto.
Volevo cambiare. Volevo vestire il mio negozio con un look diverso che attirasse una clientela più vasta.
Qualche anno dopo mi sono sposata. Mentre ero incinta mi chiesero se fossi interessata ad un bel locale che si era svuotato, ed era vicino al mio, in un punto ancora più ambito e desiderato. Mi guardai il pancione e dissi di no.
Ma quando qualcun altro si fece avanti per acquistarlo decisi che sarebbe stato mio. E così è stato.

Il mio terzo salone l’ho aperto, invece, nel 2007. Volevo dare un tocco di novità alla mia storia.
Ogni salone, tra quelli che ho aperto, è stato sempre diverso dall’altro, con stili diversi e vesti diversi.
L’ultimo voleva essere il più ricercato, il più “minuzioso”. È stato facendo e rifacendo le pareti del mio negozio, trasformando e ritrasformando il suo concept, colorando e ricolorando tutto, che ho conosciuto sempre di più me stessa.

Sono entrata a far parte del Mitù. Dopo appena qualche mese mi hanno proposto di diventarne la coordinatrice.
Mi sono immersa in un contesto aziendale.
Ho conosciuto il direttore artistico Stefano Milani, una persona talentuosa con cui ho avere il piacere e l’onore di scambiare idee, pareri, progetti e visioni.

Da una semplice officina aveva ricavato un salone ampissimo. È stato lui a darmi l’idea e la spinta di creare un salone ancora più grande. Lui mi ha stimolato a cambiare ancora. A trasformarmi di nuovo. A rimescolare le carte.
Ero indecisa. Ma come sempre ho capitolato.
Solo quando chiudi una parentesi puoi cambiare anche il luogo in cui ti trovi.

In queste pagine, l’avete capito, c’è anche Osniel. E lo avrete anche trovato, tra gli spifferi delle parole, delle incertezze e delle emozioni.
La conoscete la storia del diamante?
Dicono che il diamante sia in grado di correggere la deriva e di riempire alcuni vuoti soltanto con la sua energia. Con la sua purezza. Per questo il diamante è ricchezza. Ricchezza di sé. Ricchezza condivisa.
D come diamante. Ma o come oro. E come Osniel.

In questo viaggio ho incontrato molti viaggiatori che mi hanno aiutato a percorrere la strada.
Ho incontrato ostacoli e persone che mi hanno dato la forza di superarli. Ho trovato alleati con cui mi sono confrontata.
Ho avuto la fortuna di aver conosciuto maestri che mi hanno accompagnato, colleghi, collaboratori e clienti che sono diventati amici.
La mia storia è dedicata a loro. I ringraziamenti e la riconoscenza vanno a loro.
A Osniel e ai miei figli.
D come Daniela.
D come era il mio Destino.

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